Molti pensano che comunicare sia un atto semplice, affidabile alla spontaneità e all’esperienza, un po’ come camminare, e che quindi non ci sia bisogno di studiarlo.
Ciò deriva dal fatto che tutti, universalmente e naturalmente, “tentano di comunicare” per tutta la vita, imparando fin da piccoli, per tentativi ed errori.
Qui sta il principale nodo: una cosa è un atto di comunicazione tentato (trasmettere un messaggio con una certa intenzione), altra cosa è l’atto di comunicazione riuscito (l’effetto della trasmissione e la sua corrispondenza con l’intenzione iniziale).
Le incomprensioni nascono infatti dalla discrepanza fra le deduzioni di chi ascolta le parole che pronunciamo e le nostre attese sulla sua interpretazione.
Un altro nodo è rappresentato dal commettere “delitti di relazione” più o meno consapevoli e intenzionali, causati dall’impiego disinvolto e improprio del linguaggio (verbale e non verbale).
Sappiamo che… ne uccide più la lingua che la spada.
Ognuno rileva e valuta la realtà a modo suo, è convinto che sia quello giusto e tende a imporlo agli altri. Nulla in partenza garantisce che i messaggi arrivino in maniera coerente con le intenzioni e i significati di ciascuno. Può dipendere dal ricevente che interpreta in modo errato le intenzioni sottostanti il discorso dell’altro. Oppure può dipendere dall’emittente che pronuncia frasi non corrette/comprensibili o non chiarisce in modo accurato le proprie intenzioni.
A prima vista basterebbe prendersi il tempo per esplicitare e negoziare i diversi significati.
Cosa semplice a parole, ardua nella pratica.
Il testo vi fornisce concetti e strumenti per rendere efficace la comunicazione, ovvero ridurre al minimo il divario tra atti tentati e atti riusciti, il tutto in una cornice di autenticità e rispetto reciproco.
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